Ottobre 2019

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I cazzi malati, delizia di un tempo azzimo

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«Chi beve solo acqua ha un segreto da nascondere», pare abbia affermato Charles Baudelarie, celebre poeta dei “fiori del male” e dei fumi dell’alcol. Chi beve vino sembrerebbe, invece, più propenso a condividere i propri segreti. Ed ecco che, parlando di vino in tempo di vendemmia, una delle cuoche della comunità di Ecopotea rivela la ricetta tramandata dalla nonna materna per la preparazione dei tarallini con il vino cotto, comunemente noti come “cazzi malati” (forse per una incazzatura del termine azzimi).

Giovanna

«Sono dolci di altri tempi che, oggi, raramente si trovano nelle nostre case. Eppure – spiega la cuciniera Giovanna Barletta – servono solo due ingredienti: farina e mosto d’uva cotto. La ricetta tuttavia non è univoca e sono fondamentali i consigli tramandati da bisnonne, nonne e mamme, oltre alla qualità della farina, alla quantità del mosto utilizzato per l’impasto e alla giusta temperatura. Qui di seguito ho scritto la ricetta della mia famiglia tramandatomi da mia nonna paterna con l’aggiunta di un pizzico di tradizione di mia madre».

Procedimento:

Mettete a bollire il mosto in una pentola dai bordi alti, togliendo ogni tanto la schiuma che si forma con l’apposita schiumarola. Quando il mosto comincia a bollire, prendete la quantità che occorre per impastare la farina, tenendo presente che l’impasto deve essere morbido ma non appiccicoso. Nel frattempo continuate a far bollire il mosto fino a quando non si sarà ridotto a circa 2/3 della quantità iniziale.

Bollitura del mosto

Con le mani lavorate l’impasto e formate dei lunghi cilindri sottili, poi tanti tarallini del diametro che desiderate, o anche altre forme. Cuocete tutto nel mosto per circa 20 minuti ed ecco i “cazzi malati”, ricordo gustoso di un periodo più difficile e meno prospero del nostro.

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Fortunatamente, un po’ di vino e farina non mancava quasi a nessuno, per cui i miei nonni e, come loro i miei genitori, aspettavano ottobre proprio perché si potevano mangiare i tarallini con il vino cotto in abbondanza. Si conservavano per alcuni giorni e, se diventavano duri, bastava riscaldarli e subito ridiventavano morbidi.

Essendo una specialità autunnale, alcune signore hanno la tradizione di aggiungere nella cottura dei tarallini anche degli spicchi di mela cotogna.

A voi la fantasia e buon appetito.

Giovanna Barletta

Una giornata tra cum-panis

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L’etimologia parla chiaro: si può essere comunità anche solo vivendo negli stessi luoghi, nello stesso “comune”. Ma si può essere compagni in un unico modo: dividendosi il pane. “Cum panis”. Quella che si è riunita domenica scorsa all’azienda agricola Vigliotta per il progetto di comunità “Il Grano” è dunque una compagnia a tutti gli effetti, tenuta insieme da un impasto di convivialità, visioni condivise e farina di prima qualità, ottenuta da grani antichi e coltivazioni naturali. Un’allegra compagnia che prova a spalancare «nuove possibilità ritrovando azioni del passato», perché i ceci del gruppo d’acquisto hanno più sapore con la laina fatta a mano, come la facevano i nonni e i bisnonni e forse Adamo ed Eva. D’altronde quando si toccano le tradizioni si sfiora l’origine dell’esistenza, e la questione diventa biblica.

«Il pane si trasforma in carne e il vino in sangue», ha sancito Tommaso D’Aquino, aprendo le porte alla logica deduzione che «buon vino fa buon sangue» e che la “transustanziazione quotidiana” (quella che trasforma gli elementi dell’universo in occhi, capelli, pensieri e parole) possa essere di cattiva qualità, se non si fa caso agli ingredienti. E se le insurrezioni popolari del passato scattavano per la mancanza di pane (come ricordano Mario Iarrobino e Alessandro Manzoni descrivendo il “Tumulto di San Martino”, ovvero la rivolta del pane nella Milano del Seicento), c’è da scommettere che le prossime battaglie saranno tra autoproduzioni e grande distribuzione organizzata di cibo spazzatura, territori consapevoli contro lobby multinazionali che deportano redditi e persone, nell’ambito di un conflitto globale per l’accaparramento di risorse.

«Insomma, alla fine eravamo nella campagna di Vincenzo semplicemente per mangiare una laina e ceci e per bere un bicchiere insieme». Per fortuna ci sono giornate semplici, fatte di gesti e attenzioni semplici, che testimoniano un percorso ormai segnato verso una «maturazione collettiva e un nuovo modo di approvvigionarsi dei prodotti alimentari».

Alessandro Paolo Lombardo