Luglio 2020

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BOTTONCINI AL BURRO DI ARACHIDI

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Oggi vi proponiamo una simpatica ricetta offertaci da Lucia Arrichiello, partecipante al nostro Progetto di comunità e di Autoproduzione.

 

Cominciamo dagli ingredienti!

  • Per l’impasto:

500 gr di farina tipo 1 macinata a pietra
275 di latte
50 gr di uovo intero (1)
2 cucchiai di miele
150 gr di lievito madre oppure 25 gr di lievito di birra
7 gr di sale (1 cucchiaino)
2 o 1 tuorlo d’uovo

  • Per il burro d’arachidi:

50 gr di burro

70 gr di arachidi tostate salate (il sale va levatostrofinandole un po’)

Procedimento

1. Lavorare in una terrina tutti gli ingredienti, incorporando alla farina il latte, le uova, il lievito. Aggiungere il miele ed il pizzico di sale;

2. Sbriciolare in un’altra ciotola le arachidi, eliminando i residui di sale strofinandole, e mischiarle con il burro;

3. Incorporare il burro con l’impasto;

4. Ungere una pirofila e riversarvi il panetto coprendolo con un canovaccio o una pellicola trasparente e lasciarlo lievitare fino al raddoppio di volume;

5. Una volta raddoppiato il volume. Stendete l’impasto e arrotolatelo a bastoncino tagliandolo per la lunghezza ricavandone pezzetti da 30\40 gr.;

6. Lavorate i pezzetti fino ad ottenere una pallina e posizionatela su una teglia precedentemente rivestita di carta forno;

7. Emulsionate i rossi dell’uovo con un pizzico di sale e una goccia di latte ed usatelo per spennellare le palline;

8. Lasciate lievitare le palline per un’altra ora circa;

9. Passata l’ora di lievitazione spennellate nuovamente le palline con il rosso d’uovo ed informate a 180° per 8 minuti;

Una volta pronte farcite a piacere! Bon appetit

Il fischietto d’erba e i giochi di una volta

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Durante l’ultima “scellecatura” di Ecopotea (pratica di diserbo a mano che protegge il grano senza inquinare la terra), l’emergenza sanitaria ha reso difficile la solita entusiasta ed entusiamante partecipazione dei bambini. E’ per sopperire a questo mancato appuntamento intergenerazionale che Erminio Nardone, con la complicità del portale bMagazine, ha realizzato il suo primo video “agritutorial” su come realizzare un fischietto d’erba. Lo proponiamo qui assieme a una bellissima riflessione sui giochi di una volta di Federica Figliolino, con la collaborazione di Vittorio Palmieri. Cominciate a fare pratica per il prossimo appuntamento rurale di comunità!

Con sorridente passione i miei genitori raccontano delle loro giornate estive, di cui mi pare a volte di sentire il calore sulla pelle. Giornate fatte di comitive scorrazzanti per i campi, di complicità, di fantasia e di creatività. Ascoltando questi racconti di giochi all’aperto non riesco a non pensare a quanto sia stata diversa l’infanzia dei miei genitori e dei miei nonni dalla mia e quanto possa sembrare fantasia agli occhi di mia figlia. Cose semplici ed entusiasmanti come giocare con i sassi tra la paglia sembrano oggi chimere irraggiungibili per tantissimi bambini del 2020, condannati a trascorrere estati dentro le mura condominiali, in compagnia di simulatori vocali.

I bambini di una volta trascorrevano molto più tempo fuori casa, accompagnavano spesso i genitori in campagna durante le loro attività ed era in quel mondo bucolico che la loro immaginazione partoriva nuove realtà attraverso giochi frugali e spartani che però agli occhi disincantati di oggi mostrano il fascino di un’infanzia felice, serena e soprattutto condivisa. «L’estate era l’occasione – racconta mia madre – per fare bambole con le foglie delle pannocchie: dall’anima, fino alle mani, ai piedi e all’abito, era tutto un fasciare e legare di grosse foglie giallo verdi.»

La scellecatura, termine dialettale che indica l’attività del diserbo dell’erbacce, attività che veniva svolta prettamente a mano, spesso con l’aiuto o con la presenza dei bambini, diventava l’occasione per trasformare fili d’erba in fischietti e flauti improvvisando concerti tra le spighe di grano. “Le noci invece – ricorda mio padre – le usavamo come biglie”, ma potevano diventare barchette da far galleggiare sulle pozzanghere oppure “ci costruivamo torri, le lanciavano in percorsi a terra o le usavano come munizioni per colpire lucertole o il primo compagno che ci capitasse a tiro”

I più romantici raccoglievano fiori d’ogni colore, specie per farne magnifiche ghirlande da regalare, o per abbellire i capelli o le bambole. Io stessa ne avrò fatte a decine nei giorni di primavera, facendo a gara con gli altri bambini per decidere quale fosse la ghirlanda più lunga. I papaveri erano un altro mio meraviglioso passatempo. Mi divertivo a staccare i boccioli, ad aprirli e vedere di che tonalità erano i petali: vinceva chi trovava i petali più rari, quelli rosa o ancor più i bianchi, e poi ci si divertiva a fare stampini a corona, simili a tatuaggi, facendo pressione sulla pelle di gambe, mani e braccia già arrossate dal sole.

A seconda delle stagioni, stare all’aria aperta poteva essere l’occasione per rotolare giù sulle distese erbose, per fare torte di foglie e fango, per costruire dighe e percorsi su fiumiciattoli e ruscelli o per giocare a palle di neve. Nelle notti d’estate scendevo in giardino ad ammirare lo spettacolo silenzioso delle lucciole o mi fermavo a guardarle dal balcone inebriandomi dell’odore del fieno o del grano appena raccolti. Un appuntamento a cui non manco mai, neppure oggi. Anche per guardar le stelle, armata di coperta.

Della vita all’aria aperta oggi si parla come di una cosa da ricercare, per fuggire dalla quotidianità urbana, per la salute, per ritrovare quella serenità d’animo che non ritroviamo più nelle città, dove il verde urbano è stato soppiantato inesorabilmente da palazzoni di cemento. Ma l’andare per campi era anche un passatempo dettato dalla “fame”, specie per le generazioni dell’immediato dopoguerra: si raccoglievano e spesso si rubavano i frutti che la campagna offriva. Dalle fave di maggio, alle ciliegie, alle albicocche, ai pomodori, alle nocciole, alle noci, all’uva, ai fichi e alle more, era un tripudio di colori e sapori di stagione

Vivere il proprio ambiente è il primo passo per riscoprire l’immaginazione dei bambini, mortificata dai moderni passatempi che propongono una realtà artefatta e spesso alienante.

Federica Figliolino

Il sogno de “L’Arciere” e il benessere animale

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Ho conosciuto Luciano Michele tredici anni fa. Ci incontrammo per una gita in Basilicata organizzata dall’ ASL di Avellino. Andavamo alla scoperta di un allevamento di suini allo stato brado. Volevamo capire le modalità per riuscire nell’ impresa di allevare suini prendendo in considerazione il solo benessere animale. Ci chiedevamo come poter tenere in perfetto equilibrio naturale l’allevamento del suino con la flora e la fauna selvatica. Eravamo in sette, tutti pieni di entusiasmo ed euforia per quello che avevamo visto. Durante il pranzo, riuniti attorno alla tavola, ognuno di noi esprimeva con sicurezza e forza quello che immaginava sarebbe stato il proprio allevamento. Ebbene da quel giorno ho perso di vista tutti, tranne Luciano Michele. L’unico che con testardaggine e costanza ha realizzato il sogno di un allevamento in montagna, rendendo fruibili territori inesplorati senza alterarne il valore biologico. Nonostante la presenza dei maiali il suo obiettivo è difendere la biodiversità sia dei vegetali che degli animali che alleva. Infatti ha introdotto nel territorio il maiale nero casertano, incrociato con razze cosmopolite, razza rustica e adatta al pascolo.

Luciano Michele, una persona “tutta di un pezzo” di cui ancora non so dirvi qual è il nome e quale il cognome, ha tenuto duro. Passando da momenti di sconforto a momenti di fiducia e grazie alla presenza della sua compagna, ha costruito dal nulla  l’azienda “L’Arciere” .

“L’Arciere” ha sede  a Sant’ Agata Irpina in via Cigliano tra i monti della Castelluccia dove nascono sorgenti di acque pure e limpide, tra secolari castagneti e querceti e dove gli asparagi e l’origano segnano il passo dei viandanti. Posto ideale per una gita con la famiglia e per un ristoro in azienda fatto di salumi e di cordialità. Tra “Ecopotea” e Michele, questo è il suo nome, è iniziata una collaborazione allo scopo di creare un progetto:  “Adotta il tuo maiale”, che assicura fino al rito della macellazione il pieno benessere dell’ animale. Grazie Michele per quello che fai, per l’impegno a garantire agli animali una vita sociale, nel pieno della libertà, e alle generazioni future la possibilità di mangiar sano, fuori dagli obbrobri degli allevamenti intensivi.