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A SCUOLA CON ECOPOTEA

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Tra le diverse attività in cui si snoda il laboratorio ecologico di Ecopotea un ruolo chiave è rappresentato dai rapporti con le istituzioni scolastiche, al fine di informare e sensibilizzare i giovani a mettere in pratica comportamenti virtuosi, comprendendo fin da piccoli l’importanza dell’ambiente e la necessità di difenderlo e di custodirlo.

L’ Istituto Comprensivo di Pratola Serra per la seconda volta ha scelto di abbracciare il nostro progetto sociale, che quest’anno vedrà protagonisti anche gli alunni dell’Istituto Comprensivo Statale “Rachelina Ambrosini” – plesso di Dentecane.

La scuola ci ha ospitati in alcune classi per portare avanti nel tempo un compito di realtà che si costruisce intorno al ciclo biologico del chicco di grano.

Attraverso un calendario di incontri settimanali abbiamo seguito il ciclo biologico del grano, partendo dalla semina del chicco, attraverso le varie fasi di crescita, fino ad arrivare alla sua raccolta e successiva trasformazione in pasta, pane o pizza.

Abbiamo parlato di agricoltura e della sua influenza sull’ecosistema, di grani antichi e delle loro peculiarità, di semina e dei diversi processi di molitura e trasformazione, dei gruppi di autoproduzione e di agricoltura sociale.

Si è trattato di un percorso descrittivo fatto di racconti, disegni, foto, video e slide, ma soprattutto di un’esperienza sensoriale: i ragazzi hanno potuto toccare con mano le diverse farine, ne hanno sentito l’odore, hanno visto le differenze di colore degli impasti, ne hanno sentito il sapore e sono stati i protagonisti di un ricettario legato alle tradizioni del loro territorio.

Hanno conosciuto i sottoprodotti della molitura come il tritello, la crusca e la paglia, e il loro possibile e successivo utilizzo per la creazione di prodotti di recupero che chiudono il ciclo stesso di produzione.

Per indurli ad una maggiore consapevolezza degli alimenti che normalmente vengono consumati, è stata descritta loro l’etichetta apposta sulle confezioni e ci siamo soffermati sul contenuto alimentare della confezione, sulla provenienza delle materie prime e sui luoghi di trasformazione.

Alcuni incontri, infine, li abbiamo dedicati al tema dell’inclusione sociale che trova terreno fertile e sviluppo nelle attività pratiche e manuali.

Ecopotea, infatti, riserva una parte delle attività produttive a un gruppo di ragazzi diversamente abili, che nell’arco dell’anno sono stati coinvolti in alcuni processi di lavorazione e produzione.

Abbiamo fatto, così, dell’inclusione un punto cardine dell’agricoltura sociale, coinvolgendo l’intera classe con giochi a tema.

Realtà scolastica, agricola e dell’accoglienza: mondi percepiti come distanti che si fondono e che, facendo rete, convergono in un unico locus, lo sviluppo sostenibile dell’individuo.

Un’esperienza intensa e impegnativa, ma come sempre entusiasmante e che speriamo di ripetere e di replicare anche in altre realtà (scolastiche).

Federica Figliolino

SORRISI E DINTORNI…BUONA LA PRIMA SAGRA DEI CAZZI MALATI

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A molti sarà sembrato scurrile il titolo della nostra manifestazione, eppure nulla ci è parso più “locale” di un piatto antico e tradizionale, rivisitato con i prodotti buoni della nostra terra, coltivati così come natura crea.

Tra sorrisi e apprezzamenti abbiamo trascorso due giornate all’insegna del sole, della socialità e dei sapori antichi, una sagra nata per gioco, tra soci e amici, in una sera d’estate trascorsa in sede.

Volevamo condividere il nostro piacere per le cose buone rievocando con simpatia profumi e atmosfere di una volta che ci ricordassero l’infanzia e le tavolate a casa dei nonni; le laine (sfoglie) impastate con la nostra farina, stese a mano e messe ad asciugare, la zuppa e il sugo con i nostri ceci, dal profumo intenso e aromatico di erbe e spezie che, tanti di noi, un tempo andavano a raccogliere nell’orto.

Il pan focaccia con la nostra farina di farro che si sposa alla delicatezza della ricotta e del miele, tutti prodotti rigorosamente locali.

E, infine, loro, i veri protagonisti, di cui si stava perdendo memoria… i Cazzi Malati, il dolce tipico e tanto atteso della vendemmia. Un dolce “poverello” eppure tanto ricco di preziosi ingredienti: la farina, il mosto di vino e l’amore di mani esperte che mescolano, impastano, stendono, tagliano, intrecciano e infine cuociono in una magica alchimia.

Un’esperienza sensoriale il nostro laboratorio autunnale di “Mani in Pasta”, un viaggio nella memoria che abbiamo voluto dedicare ai nostri piccoli visitatori e ospiti, ai bambini. Un tuffo nel gusto, in cui abbiamo coinvolto tanti piccoli e grandi chef!

E con l’aiuto di nonne esperte, genitori pazienti e dediti maestri, abbiamo realizzato insieme il dolce d’autunno, i nostri tarallini al mosto di vino.

I sorrisi e la cordialità di tutti, l’allegria dei bambini ci hanno ripagati di tanti sforzi e notti insonni.

E’ stato un momento di felice convivialità, uniti nei preparativi abbiamo distribuito bontà, passione ed entusiasmo.

A tutti voi che avete partecipato il nostro GRAZIE e arrivederci all’anno prossimo.

Si ringrazia per la partecipazione attiva il Forum dei Giovani di Venticano , il Pastificio La Paesana di Puzo Concetta, che da tempo ci segue in questa nostra follia, Sciamando Apicoltura e quanti hanno dato il loro contributo alla realizzazione di questa nostra manifestazione!

Federica Figliolino

 

 

 

 

 

Laine e ciciri con zuppa di ceci

 

 

Il fischietto d’erba e i giochi di una volta

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Durante l’ultima “scellecatura” di Ecopotea (pratica di diserbo a mano che protegge il grano senza inquinare la terra), l’emergenza sanitaria ha reso difficile la solita entusiasta ed entusiamante partecipazione dei bambini. E’ per sopperire a questo mancato appuntamento intergenerazionale che Erminio Nardone, con la complicità del portale bMagazine, ha realizzato il suo primo video “agritutorial” su come realizzare un fischietto d’erba. Lo proponiamo qui assieme a una bellissima riflessione sui giochi di una volta di Federica Figliolino, con la collaborazione di Vittorio Palmieri. Cominciate a fare pratica per il prossimo appuntamento rurale di comunità!

Con sorridente passione i miei genitori raccontano delle loro giornate estive, di cui mi pare a volte di sentire il calore sulla pelle. Giornate fatte di comitive scorrazzanti per i campi, di complicità, di fantasia e di creatività. Ascoltando questi racconti di giochi all’aperto non riesco a non pensare a quanto sia stata diversa l’infanzia dei miei genitori e dei miei nonni dalla mia e quanto possa sembrare fantasia agli occhi di mia figlia. Cose semplici ed entusiasmanti come giocare con i sassi tra la paglia sembrano oggi chimere irraggiungibili per tantissimi bambini del 2020, condannati a trascorrere estati dentro le mura condominiali, in compagnia di simulatori vocali.

I bambini di una volta trascorrevano molto più tempo fuori casa, accompagnavano spesso i genitori in campagna durante le loro attività ed era in quel mondo bucolico che la loro immaginazione partoriva nuove realtà attraverso giochi frugali e spartani che però agli occhi disincantati di oggi mostrano il fascino di un’infanzia felice, serena e soprattutto condivisa. «L’estate era l’occasione – racconta mia madre – per fare bambole con le foglie delle pannocchie: dall’anima, fino alle mani, ai piedi e all’abito, era tutto un fasciare e legare di grosse foglie giallo verdi.»

La scellecatura, termine dialettale che indica l’attività del diserbo dell’erbacce, attività che veniva svolta prettamente a mano, spesso con l’aiuto o con la presenza dei bambini, diventava l’occasione per trasformare fili d’erba in fischietti e flauti improvvisando concerti tra le spighe di grano. “Le noci invece – ricorda mio padre – le usavamo come biglie”, ma potevano diventare barchette da far galleggiare sulle pozzanghere oppure “ci costruivamo torri, le lanciavano in percorsi a terra o le usavano come munizioni per colpire lucertole o il primo compagno che ci capitasse a tiro”

I più romantici raccoglievano fiori d’ogni colore, specie per farne magnifiche ghirlande da regalare, o per abbellire i capelli o le bambole. Io stessa ne avrò fatte a decine nei giorni di primavera, facendo a gara con gli altri bambini per decidere quale fosse la ghirlanda più lunga. I papaveri erano un altro mio meraviglioso passatempo. Mi divertivo a staccare i boccioli, ad aprirli e vedere di che tonalità erano i petali: vinceva chi trovava i petali più rari, quelli rosa o ancor più i bianchi, e poi ci si divertiva a fare stampini a corona, simili a tatuaggi, facendo pressione sulla pelle di gambe, mani e braccia già arrossate dal sole.

A seconda delle stagioni, stare all’aria aperta poteva essere l’occasione per rotolare giù sulle distese erbose, per fare torte di foglie e fango, per costruire dighe e percorsi su fiumiciattoli e ruscelli o per giocare a palle di neve. Nelle notti d’estate scendevo in giardino ad ammirare lo spettacolo silenzioso delle lucciole o mi fermavo a guardarle dal balcone inebriandomi dell’odore del fieno o del grano appena raccolti. Un appuntamento a cui non manco mai, neppure oggi. Anche per guardar le stelle, armata di coperta.

Della vita all’aria aperta oggi si parla come di una cosa da ricercare, per fuggire dalla quotidianità urbana, per la salute, per ritrovare quella serenità d’animo che non ritroviamo più nelle città, dove il verde urbano è stato soppiantato inesorabilmente da palazzoni di cemento. Ma l’andare per campi era anche un passatempo dettato dalla “fame”, specie per le generazioni dell’immediato dopoguerra: si raccoglievano e spesso si rubavano i frutti che la campagna offriva. Dalle fave di maggio, alle ciliegie, alle albicocche, ai pomodori, alle nocciole, alle noci, all’uva, ai fichi e alle more, era un tripudio di colori e sapori di stagione

Vivere il proprio ambiente è il primo passo per riscoprire l’immaginazione dei bambini, mortificata dai moderni passatempi che propongono una realtà artefatta e spesso alienante.

Federica Figliolino